WhatsApp, i messaggi possono valere in tribunale come prove?

Una sentenza, di qualche anno fa, della Corte di Cassazione si è espressa sulle chat WhatsApp e se queste possano avere valore di prova legale in giudizio.

Quando si parla di messaggistica, impossibile non citare WhatsApp, applicazioni tra le più scaricate al mondo. Chiunque ormai la utilizza per vari motivi: lavoro, parlare con gli amici, condividere file multimediali o documenti.

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Smartphone (Foto da Canva) – Bonus.it

L’importanza di questa app è talmente cresciuta tanto che una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che le chat scambiate tra i vari utenti possono avere valore di prova legale in un processo. Per utilizzarle, però, esistono delle regole specifiche e dei casi particolari.

Chat WhatsApp hanno valore di prova legale in giudizio? La sentenza della Cassazione

Le conversazioni di WhatsApp sono ormai divenute un vero e proprio archivio per gli utenti che conservano foto, messaggi importanti, ricordi etc. Molti, però, si sono chiesti, magari ritrovandosi difronte ad un avvenimento particolare, se queste possano avere valore di prova legale in giudizio.

Chat WhatsApp Tribunale prova
Tribunale (Foto da Canva) – Bonus.it

A fornire la risposta al quesito in questione, come riporta un articolo sul sito Dirittodellinformazione.it, è stata una sentenza dei giudici della Corte di Cassazione. Si tratta della numero 49016 del 2017 secondo cui le chat della nota applicazione di messaggistica hanno valore legale, ma possono essere utilizzate in un caso: quando è stato acquisito il dispositivo dove è avvenuta la conversazione, ossia lo smartphone. A questo punto, il messaggio può entrare in un processo per documentare un episodio in particolare.

Se, però, vi è l’impossibilità di acquisire il dispositivo si può ovviare presentando in giudizio uno screenshot della conversazione, poi stampato o una penna Usb contenente la chat. Le conversazioni, però, devono essere state acquisite in maniera legale, come stabilito dalla legge. Sarà compito della parte che ha intenzione di contestare il contenuto dimostrare che quanto prodotto non è reale o acquisito in maniera illegale.

Gli ermellini, nella sentenza di sei anni fa, si sarebbe basati sull’articolo 234 del Codice di Procedura Penale che consente l’acquisizione di scritti o documenti che rappresentano fatti, persone o cose attraverso la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.